mercoledì 17 febbraio 2010

UNA DONNA SIRO-FENICIA

UNA DONNA SIRO-FENICIA
(Marco cap. 7) [24]Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non potè restare nascosto. [25]Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi. [26]Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. [27]Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». [28]Ma essa replicò: «Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli». [29]Allora le disse: «Per questa tua parola và, il demonio è uscito da tua figlia».
[30]Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato.

Questo episodio della donna siro-fenicia o cananea, come la definisce il vangelo di Matteo, attira l’attenzione perché in questo caso Gesù ci comunica un altro messaggio oltre modo importante al giorno d’oggi e cioè che il suo messaggio è universale e non circoscrivibile esclusivamente al popolo di Israele, cioè ai circoncisi, e neppure è di totale appartenenza del popolo cristiano. Questa donna ha una grande angoscia a causa della propria figlia posseduta da un demonio. Certamente è pensabile che abbia fatto altri tentativi in altre direzioni per allontanare dalla amata figlioletta quella sgradita presenza, ma evidentemente con scarsi o nulli risultati. C’è ora questo profeta, questo sant’uomo, questo taumaturgo ebreo che si è chiuso in una casa e chiede di non essere disturbato (“Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse”). Il suo amore di madre però non conosce ostacoli e, non ostante il divieto e l’inopportunità, ella si presenta al taumaturgo e ne implora la grazia. Il sant’uomo però non le dà ascolto. Non che non se lo aspettasse. C’era da aspettarselo da un esponente di questo popolo altezzoso e pieno di sé che guarda tutti dall’alto della sua prosopopea e bolla gli esponenti di altre nazioni col sostantivo dispregiativo di “gohim” . Per quella donna è troppo importante quello che gli sta chiedendo e non può arrendersi neppure di fronte a quel paragone ingiurioso, cioè “«Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini».”. La sua figlioletta soffre e della sofferenza della figlia lei non può non farsi carico e sa che quel profeta, o chiunque egli sia, può aiutarla. Sa che ha fatto del bene dappertutto in Israele, che ha guarito da malattie gravissime fin dalla nascita, ha scacciato demoni, ha comandato ai venti, alle acque, agli elementi ed essi gli hanno ubbidito. Il suo amore di madre, la compassione per la figlia sofferente le impongono di essere anche sfrontata perciò risponde a Gesù: “[27]«E' vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». [28]Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.”(Mt.15). Gesù lodò la fede di questa donna straniera e le accordò quel che chiedeva.
Cosa può dire a noi oggi questo episodio?
Innanzi tutto che nessuno può appropriarsi del nome di Dio ritenendolo esclusivamente suo e neppure Gesù può essere etichettato come appartenente a qualcuno. Il popolo ebraico considerò se stesso, e a ragione, l’unico depositario della Parola di Dio; e persiste ancora dopo la venuta di Gesù. Che sia stato il popolo che il Signore si è scelto fra tanti popoli non può essere negato, ma dopo duemila anni il mancato riconoscimento di Gesù quale Figlio di Dio ancora pesa e forse peserà fino alla fine dei secoli.
In secondo luogo che noi cristiani siamo più colpevoli degli ebrei se ci riteniamo esclusivi depositari della Parola. In fondo gli ebrei avevano ordine di distruggere ogni traccia di altro culto nel loro territorio e di non imparentarsi coi popoli pagani, ma noi abbiamo ricevuto un messaggio da Gesù esattamente opposto a questo: Gesù è morto per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, della razza, della cultura. Quello che più conta è la fede. Se si ha fede la speranza e la carità non possono mancare, e noi sappiamo che sono queste le virtù che portano alla salvezza. Il Battesimo da solo può salvare? Può salvare uno che si lamenta di essere stato battezzato al di fuori della sua volontà e che chiede (assurdità) di cancellare il suo battesimo? Certo, sappiamo bene che questo è un marchio indelebile che avrà il suo peso al momento del trapasso, ma certamente da solo non salva. La fede sì. La fede di quella donna non ebrea, non seguace di Gesù, che umiliava se stessa chiedendo aiuto ad uno straniero, ha salvato la figlia. Ed è augurabile che la fede in quel Dio a lei sconosciuto che aveva liberato la figlia dal maligno abbia concesso anche a lei quella salvezza eterna cui aspirava, seppure inconsciamente, nel suo cuore. La fede è al di sopra di tutto. Dio è unico, ma, a seconda della cultura ( e del culto), ha diversi nomi ed appellativi, ma è sempre lui, l’UNICO.

1 commento:

  1. cosa dire di questo splendido vangelo che ti costringe a pregare nella tua disperazione quando Dio sembra non ascoltarti e addirittura prendersi gioco di te? Un vangelo che dona la forza della preghiera quando tutto, forse Dio stesso, sembra avversarla.

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