Qualche esegeta afferma che la donna in Israele prima di Gesù non superò lo stato di minorenne essendo la sua funzione nella società limitata alla maternità e, tutt’al più, alla educazione dei figli. Per questo il pio ebreo pregava, e prega: < Ti ringrazio, Signore, per non avermi fatto pagano, donna e ignorante ! >, mentre la donna si accontenta di ringraziare il Signore di averla fatta secondo la “Sua Volontà”.
Proprio perché la sua funzione nella società ebraica è limitata quasi esclusivamente alla maternità, questa sua funzione la donna la difende non solo come un dovere, il dovere di far figli, ma come un diritto cui non intende in alcun modo rinunciare. A tal proposito è istituito il levirato: (Deut.25, [5]Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si mariterà fuori, con un forestiero; il suo cognato verrà da lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere del cognato; [6]il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questo non si estingua in Israele.
In questo contesto si situa la storia di Tamar. Giuda, figlio di Giacobbe, sposatosi con una Cananea, ha da questa donna tre figli. Giuda prende per moglie del suo primo figlio Er, Tamar. Er muore e Tamar rimane vedova. Giuda la dà in sposa al secondo figlio. Anche questo muore e Giuda dice a Tamar: < Il mio terzo figlio è ancora giovane perché te lo dia in sposo. Aspetta che cresca.> E Tamar aspetta. Dopo un certo tempo Tamar vede che il giovanotto è cresciuto e chiede ripetutamente a Giuda di darglielo come marito, secondo la legge del levirato. Giuda tergiversa e Tamar capisce che il suocero non ha alcuna intenzione di osservare quanto dispone la legge.
Giuda rimane vedovo della propria moglie e, trascorso il periodo di lutto, decide di recarsi là dove si trovavano i tosatori delle pecore del suo gregge. Tamar, toltasi il vestito da vedova, si fa trovare sulla via che sapeva Giuda avrebbe percorso, tutta agghindata e col viso coperto dal velo così come usavano le prostitute2. Giuda l’avvicina e si accordano per un capretto. Tamara però per essere sicura di ricevere il capretto pattuito chiede al suo apparentemente occasionale partner di lasciarle come pegno il bastone, il sigillo e il cordone del sigillo . Giuda acconsente e, dopo essersi unito a lei, prosegue la sua strada fino al campo dei tosatori. Subito incarica uno dei suoi di recapitare il capretto pattuito alla prostituta. Nel frattempo Tamar si è tolto il velo che le copriva il volto, si è tolto gli abiti da prostituta, ha indossato nuovamente i suoi abiti vedovili ed è ritornata a casa perciò quando l’incaricato di Giuda giunge sul posto indicatogli con il capretto non trova nessuno. Chiede in giro della prostituta, ma nessuno l’ ha vista; anzi l’assicurano che lì non c’è mai stata una prostituta. Riferisce il tutto a Giuda che, sulle prime, rimane sconcertato, ma poi pensa che lui il capretto pattuito l’aveva mandato e che non ha alcuna colpa se questo non è giunto a destinazione. E si dimentica dell’episodio.
Dopo qualche mese giunge all’orecchio di Giuda che (Gen.38,24)«Tamar, la tua nuora, si è prostituita e anzi è incinta a causa della prostituzione». Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». 25]Essa era già condotta fuori, quando mandò a dire al suocero: «Dell'uomo a cui appartengono questi oggetti io sono incinta». E aggiunse: «Riscontra, dunque, di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». [26]Giuda li riconobbe e disse: «Essa è più giusta di me, perché io non l'ho data a mio figlio Sela».
Né Giuda né il Signore punirono Tamàr. Tamàr partorì due gemelli che figurano in (Matteo cap. 1)[1]Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. [2]Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, [3]Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram…… Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, [6]Iesse generò il re Davide.
A dimostrazione che il Signore punisce il peccato e non il peccatore ecco che sia Tamàr che Rut sono assolte dai loro piccoli inganni perché ambedue hanno agito in nome di un diritto unanimemente riconosciuto. Inoltre entrano nella genealogia di Gesù pur essendo Rut moabita e Tamàr Cananea, quindi non ebree, appartenenti a popoli coi quali gli ebrei non dovevano contaminarsi secondo gli ordini di (Deuteronomio cap. 7)[3]Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, Ma il Signore è Signore di tutte le sue creature, a qualsiasi popolo esse appartengano, e perché Gesù fosse figlio dell’uomo, volle che nella Sua genealogia figurassero anche delle ascendenze non ebraiche.
Questo Bambino viene da lontano, ha legami indissolubili con il passato, con la storia, con la storia di Dio e del suo popolo. Non sarà quindi uno sconosciuto, non sarà un uomo venuto dal nulla, ma chiunque saprà in Israele e fuori di dove proviene, chi sono i suoi padri. Nessuno potrà dire: “Non ti conosco”. Nel mondo ebraico il nome di una persona aveva una grande importanza significando esso l’essenza stessa dell’individuo, la sua particolare ed irripetibile personalità. Ma accanto al nome proprio aveva un’enorme importanza anche l’identità degli ascendenti. Senza ascendenti, senza padri, senza antenati era difficile collocarlo nella società fosse essa tribale o nazionale: uno non esisteva. Anche tra noi, oggi, sebbene con connotazioni e significati differenti, nessuno può esistere nella società civile senza un cognome che fa evidentemente riferimento agli antenati, perciò tutti portiamo un secondo nome, oltre quello proprio, personale, che riporta agli antenati. Ecco perché l’angelo precisa che il Bambino porterà il sangue di Giacobbe ed erediterà il trono di Davide. Non ci sono e non possono esserci fratture fra il Bambino concepito e i suoi padri.
giovedì 29 ottobre 2009
sabato 24 ottobre 2009
JEZABELE
«Che fai qui, Elia?». «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». (1Re cap. 19) . Cosa era successo perché Elia, l’uomo di Dio, fosse così depresso e spaventato? E perché dice di essere rimasto solo lui a conservare la fede in Dio? Sembra di sentire certi nostri vecchi brontoloni per i quali tutto va in malora, compresa, e soprattutto, quella fede di cui si sentono l’ultimo rimasto. Il timore di Elia è un sentimento oggi giorno piuttosto diffuso. Si sente spesso dire: “Non c’è più fede, non c’è più timore di Dio”. Quei principi etici che hanno improntato la nostra vita e quella dei nostri padri non solo sono messi in discussione ma comportamenti disinvolti, un tempo esecrati, trovano sempre maggiore adesione e tolleranza in nome di un relativismo che tutto copre e giustifica. Lo scoraggiamento di Elia, che forse oggi molti di noi provano, è lo stesso scoraggiamento provato da sempre da tutte le generazioni di fronte al cinismo, alla violenza, alla ingiustizia.
Elia, in concreto, di chi aveva paura? Chi era quello che lo atterriva fino a fargli desiderare la morte? Jezabele era la fonte delle sue angosce. Jezabele era la moglie del re di Israele Acab. Alla morte del re Salomone il suo regno si divise in regno di Israele a nord e di Giuda a Sud, con capitale Gerusalemme. Il regno del nord, con capitale Samaria, confinava con la terra dei Fenici con i quali non si poteva non avere rapporti di buon vicinato e amichevoli con scambi commerciali sempre più frequenti tanto che Acab sposò la figlia del re di Tiro, Jezabele. I Fenici era un popolo mercanti, marinai, navigatori e avventurieri spesso senza scrupoli, specialmente agli occhi degli abitanti del regno di Israele che erano, per tradizione, pastori e contadini. Con Jezabele in Israele entrarono nuove abitudini di vita, nuovi costumi e, favorita dalla regina, si espanse il culto di Baal. Naturalmente i nuovi costumi consistevano anche in una maggiore diffusione del commercio e degli affari. Ora attaccato alla casa di Acab c’era una vigna di proprietà di un certo Nabot di Izreèl e Acab chiese a Nabot: “Cedimi la tua vigna; siccome è vicina alla mia casa, ne farei un orto. In cambio ti darò una vigna migliore oppure, se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale». [3]Nabot rispose ad Acab: «Mi guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei padri”.(1Re cap. 21) La proposta era onesta e ragionevole. Per di più Acab pur essendo il re, proponeva un affare, uno scambio da privato a privato esautorandosi in quella occasione dal suo rango di monarca assoluto. Ma Nabot gli rispose scandalizzato: “ Non te la venderò mai”. Non che Nabot fosse un oppositore del re, ma era un uomo all’antica, attaccato alle tradizioni dei padri e vendendo la vigna che aveva ereditato dal padre, gli sembrava di vendere anche lui o il suo ricordo. Anche oggi, ai nostri giorni, l’emigrato per ragioni di lavoro non vuole in alcun modo disfarsi della vecchia casetta paterna pur non essendo, talvolta, in condizioni di apportarvi le opportune manutenzioni; forse, nel suo intimo, pensa di far torto ai genitori.
Acab questo rifiuto lo prese molto male e, profondamente addolorato, si mise a letto, si girò verso il muro rifiutandosi anche di mangiare. Jezabele, informata dello stato depressivo in cui era caduto il marito, gli chiese il motivo di tanto angoscioso dolore e, dopo tante amorevoli insistenze, Acab le confidò che il motivo dell’angoscia che attanagliava il suo cuore era il categorico rifiuto di Nabot a vendergli la vigna. Al che lei, donna pratica e sbrigativa: ”Tu ora eserciti il regno su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la darò io la vigna di Nabot di Izreèl!”. (1Re cap. 21) Immediatamente Jezabele spedì delle lettere apponendovi il sigillo reale, quindi praticamente a nome del re, ai dignitari del distretto di Nabot ordinando che si facesse un banchetto sacro durante il quale Nabot, anche lui invitato, doveva essere accusato da testimoni scellerati e prezzolati di aver parlato male del re e di aver bestemmiato Dio e pertanto doveva essere condannato a morte e la sentenza doveva essere eseguita all’istante. Tutto viene eseguito secondo gli ordini. Jezabele ne è immediatamente informata e lo comunica ad Acab che si reca a prendere possesso della vigna. Evidentemente il povero Nabot non aveva eredi che potessero contestarne il possesso al re. Mentre si trovava ancora nella vigna sopraggiunse il profeta Elia, divinamente informato. Acab non può che confessare di essere stato colto in fragrante e il profeta gli riferisce ciò che il Signore gli aveva ordinato di dire ad Acab: “Hai assassinato e ora usurpi! Per questo dice il Signore: Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue”. (1Re cap. 21) E’ naturale pensare che Acab corse dalla moglie Jezabele che sembra essere la donna forte e spregiudicata capace di affrontare impavida ogni difficoltà. Essa è tanto sicura di se, , tanto impudente da non dare gran peso alla profezia di Elia. Ma quando sente che l’uomo di Dio aveva letteralmente scannato con le sue mani quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal nel torrente Kison ai piedi del Carmelo, quei sacerdoti di Baal che lei sovvenzionava e manteneva, la sua ira si accese e mandò a dire a Elia: “Gli dei mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno di quelli”. (1Re cap. 19). Il profeta doveva ben conoscere l’animo crudele e spietato di Jezabele per non mettersi paura. Angosciato e in uno stato depressivo comprensibile non può che scappare il più lontano possibile. Camminò fino a Bersabea (Ber Sheeba), circa 250 – 300 Km a sud del torrente Kison, dove lasciò il ragazzo che lo accudiva e si inoltrò per una giornata di cammino nel deserto del Negheb per coricarsi sotto un ginepro per aspettare la morte. L’angelo del Signore lo svegliò e lo rifocillò affinché riprendesse le forze per arrivare all’Oreb, alla montagna di Dio dove incontra il Signore che gli chiede: ” Che fai qui, Elia?”. (1Re cap. 19) [14]Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Il Signore gli ordina di ritornare in Israele e di ungere re di Israele Ieu, figlio di Nimsi. Gli confida inoltre che in Israele ci sono settemila persone che non hanno piegato le ginocchia di fronte a Baal.
Anche noi talvolta ci lasciamo prendere dallo scoramento osservando quanto poco interesse abbiano i nostri contemporanei nelle cose di Dio. Constatiamo la superficialità delle cose religiose, l’assenza di interesse per le cose di Dio, il relativismo diffuso a tutti i livelli, compresa la gerarchia ecclesiastica, e ci lasciamo prendere dal sentimento di Elia: “Sono rimasto solo o siamo rimasti in pochi “. Non è così, naturalmente. Il Signore guarda lo spirito dell’uomo e certamente ha molti più fedeli di quanto noi possiamo immaginare. Un notabile arabo che visitò l’Europa nella seconda metà dell’ottocento, a chi gli chiedeva come avesse trovato il mondo cristiano rispondeva di aver trovato più islamici (sottomessi a Dio) in occidente che non in Arabia. Ad un occhio attento penso che le cose non siano cambiate e che ci siano tante persone credenti e di fede che ai nostri occhi cisposi e velati non appaiono.
La storia di Jezabele finisce qui? No, di certo. Anzi adesso viene il bello.
[30]Acab figlio di Omri fece ciò che è male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori. (1Re cap. 16). Sorpreso da Elia mentre usurpava la vigna di Nabot, si stacciò le vesti, si coprì di sacco e fece penitenza dei suoi peccati. Ma il lupo perde il pelo, ma non il vizio e continuò nelle sue malefatte. Con un pretesto attaccò guerra ad un vicino e durante la battaglia una freccia scagliata a caso, nel mucchio, colpì proprio Acab tra le maglie dell’armatura e la corazza. Sentendosi ferito, Acab ordinò al cocchiere di tirarsi fuori dalla mischia. Il sangue colava dalla ferita e si raccoglieva sul fondo del carro da battaglia e alla sera il re morì. Lo portarono a Samaria e lo seppellirono. [38]Il carro fu lavato nella piscina di Samaria dove si lavavano le prostitute e i cani leccarono il suo sangue, secondo la parola pronunziata dal Signore. (1Re cap. 22)
Sull’Oreb il Signore aveva ordinato ad Elia di ungere re di Israele Ieu, figlio di Nimsi. Pertanto Ieu prese il potere. Se Jezabele era sanguinaria in Ieu aveva trovato pane per i suoi denti. Unto re di Israele Ieu fa strage di figli, parenti e amici del re. Per la morte di Jezabele cedo la parola al cronista biblico.
(2Re cap. 9) [30]Ieu arrivò in Izreèl. Appena lo seppe, Jezabele si truccò gli occhi con stibio, si acconciò la capigliatura e si mise alla finestra. [31]Mentre Ieu entrava per la porta, gli domando: «Tutto bene, o Zimri, assassino del suo padrone?». [32]Ieu alzò lo sguardo alla finestra e disse: «Chi è con me? Chi?». Due o tre eunuchi si affacciarono a guardarlo. [33]Egli disse: «Gettatela giù». La gettarono giù. Il suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli. Ieu passò sul suo corpo, [34]poi entrò, mangiò e bevve; alla fine ordinò: «Andate a vedere quella maledetta e seppellitela, perché era figlia di re». [35]Andati per seppellirla, non trovarono altro che il cranio, i piedi e le palme delle mani. [36]Tornati, riferirono il fatto a Ieu, che disse: «Si è avverata così la parola che il Signore aveva detta per mezzo del suo servo Elia il Tisbita: Nel campo di Izreèl i cani divoreranno la carne di Jezabele. [37]E il cadavere di Jezabele nella campagna sarà come letame, perché non si possa dire: Questa è Jezabele».
Vi ho raccontato una ben triste storia, mi rendo conto, che non ha bisogno di commento. Non c’è nessuno che sia tanto crudele da non trovare uno più crudele di lui. Jezabele era una donna crudele e spietata e pagò duramente le sue innumerevoli colpe.
Storicamente questi fatti sono avvenuti tra l’ 875 e l’ 845 a.C. La situazione socio-politica vedeva Israele esercitava l’agricoltura e la pastorizia, mentre nel Libano, e nella fattispecie Tiro, da circa 100 - 150 anni andava per mare commerciando. Israele cercava di modificare il suo modo di vivere affacciandosi ad un mondo di commercio e di affari per i quali non tutti erano ugualmente preparati. Quando avvengono dei cambiamenti troppo rapidi nei sistemi di vita c’è sempre qualcuno, o più di qualcuno, che impone la sua legge spesso prepotente e violenta specialmente a carico dei più deboli. I nostri tempi non sono molto diversi da quelli, a mio modo di vedere.
Ora, ciascuno a modo suo tragga la morale da tutta questa storia.
Elia, in concreto, di chi aveva paura? Chi era quello che lo atterriva fino a fargli desiderare la morte? Jezabele era la fonte delle sue angosce. Jezabele era la moglie del re di Israele Acab. Alla morte del re Salomone il suo regno si divise in regno di Israele a nord e di Giuda a Sud, con capitale Gerusalemme. Il regno del nord, con capitale Samaria, confinava con la terra dei Fenici con i quali non si poteva non avere rapporti di buon vicinato e amichevoli con scambi commerciali sempre più frequenti tanto che Acab sposò la figlia del re di Tiro, Jezabele. I Fenici era un popolo mercanti, marinai, navigatori e avventurieri spesso senza scrupoli, specialmente agli occhi degli abitanti del regno di Israele che erano, per tradizione, pastori e contadini. Con Jezabele in Israele entrarono nuove abitudini di vita, nuovi costumi e, favorita dalla regina, si espanse il culto di Baal. Naturalmente i nuovi costumi consistevano anche in una maggiore diffusione del commercio e degli affari. Ora attaccato alla casa di Acab c’era una vigna di proprietà di un certo Nabot di Izreèl e Acab chiese a Nabot: “Cedimi la tua vigna; siccome è vicina alla mia casa, ne farei un orto. In cambio ti darò una vigna migliore oppure, se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale». [3]Nabot rispose ad Acab: «Mi guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei padri”.(1Re cap. 21) La proposta era onesta e ragionevole. Per di più Acab pur essendo il re, proponeva un affare, uno scambio da privato a privato esautorandosi in quella occasione dal suo rango di monarca assoluto. Ma Nabot gli rispose scandalizzato: “ Non te la venderò mai”. Non che Nabot fosse un oppositore del re, ma era un uomo all’antica, attaccato alle tradizioni dei padri e vendendo la vigna che aveva ereditato dal padre, gli sembrava di vendere anche lui o il suo ricordo. Anche oggi, ai nostri giorni, l’emigrato per ragioni di lavoro non vuole in alcun modo disfarsi della vecchia casetta paterna pur non essendo, talvolta, in condizioni di apportarvi le opportune manutenzioni; forse, nel suo intimo, pensa di far torto ai genitori.
Acab questo rifiuto lo prese molto male e, profondamente addolorato, si mise a letto, si girò verso il muro rifiutandosi anche di mangiare. Jezabele, informata dello stato depressivo in cui era caduto il marito, gli chiese il motivo di tanto angoscioso dolore e, dopo tante amorevoli insistenze, Acab le confidò che il motivo dell’angoscia che attanagliava il suo cuore era il categorico rifiuto di Nabot a vendergli la vigna. Al che lei, donna pratica e sbrigativa: ”Tu ora eserciti il regno su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la darò io la vigna di Nabot di Izreèl!”. (1Re cap. 21) Immediatamente Jezabele spedì delle lettere apponendovi il sigillo reale, quindi praticamente a nome del re, ai dignitari del distretto di Nabot ordinando che si facesse un banchetto sacro durante il quale Nabot, anche lui invitato, doveva essere accusato da testimoni scellerati e prezzolati di aver parlato male del re e di aver bestemmiato Dio e pertanto doveva essere condannato a morte e la sentenza doveva essere eseguita all’istante. Tutto viene eseguito secondo gli ordini. Jezabele ne è immediatamente informata e lo comunica ad Acab che si reca a prendere possesso della vigna. Evidentemente il povero Nabot non aveva eredi che potessero contestarne il possesso al re. Mentre si trovava ancora nella vigna sopraggiunse il profeta Elia, divinamente informato. Acab non può che confessare di essere stato colto in fragrante e il profeta gli riferisce ciò che il Signore gli aveva ordinato di dire ad Acab: “Hai assassinato e ora usurpi! Per questo dice il Signore: Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue”. (1Re cap. 21) E’ naturale pensare che Acab corse dalla moglie Jezabele che sembra essere la donna forte e spregiudicata capace di affrontare impavida ogni difficoltà. Essa è tanto sicura di se, , tanto impudente da non dare gran peso alla profezia di Elia. Ma quando sente che l’uomo di Dio aveva letteralmente scannato con le sue mani quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal nel torrente Kison ai piedi del Carmelo, quei sacerdoti di Baal che lei sovvenzionava e manteneva, la sua ira si accese e mandò a dire a Elia: “Gli dei mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno di quelli”. (1Re cap. 19). Il profeta doveva ben conoscere l’animo crudele e spietato di Jezabele per non mettersi paura. Angosciato e in uno stato depressivo comprensibile non può che scappare il più lontano possibile. Camminò fino a Bersabea (Ber Sheeba), circa 250 – 300 Km a sud del torrente Kison, dove lasciò il ragazzo che lo accudiva e si inoltrò per una giornata di cammino nel deserto del Negheb per coricarsi sotto un ginepro per aspettare la morte. L’angelo del Signore lo svegliò e lo rifocillò affinché riprendesse le forze per arrivare all’Oreb, alla montagna di Dio dove incontra il Signore che gli chiede: ” Che fai qui, Elia?”. (1Re cap. 19) [14]Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Il Signore gli ordina di ritornare in Israele e di ungere re di Israele Ieu, figlio di Nimsi. Gli confida inoltre che in Israele ci sono settemila persone che non hanno piegato le ginocchia di fronte a Baal.
Anche noi talvolta ci lasciamo prendere dallo scoramento osservando quanto poco interesse abbiano i nostri contemporanei nelle cose di Dio. Constatiamo la superficialità delle cose religiose, l’assenza di interesse per le cose di Dio, il relativismo diffuso a tutti i livelli, compresa la gerarchia ecclesiastica, e ci lasciamo prendere dal sentimento di Elia: “Sono rimasto solo o siamo rimasti in pochi “. Non è così, naturalmente. Il Signore guarda lo spirito dell’uomo e certamente ha molti più fedeli di quanto noi possiamo immaginare. Un notabile arabo che visitò l’Europa nella seconda metà dell’ottocento, a chi gli chiedeva come avesse trovato il mondo cristiano rispondeva di aver trovato più islamici (sottomessi a Dio) in occidente che non in Arabia. Ad un occhio attento penso che le cose non siano cambiate e che ci siano tante persone credenti e di fede che ai nostri occhi cisposi e velati non appaiono.
La storia di Jezabele finisce qui? No, di certo. Anzi adesso viene il bello.
[30]Acab figlio di Omri fece ciò che è male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori. (1Re cap. 16). Sorpreso da Elia mentre usurpava la vigna di Nabot, si stacciò le vesti, si coprì di sacco e fece penitenza dei suoi peccati. Ma il lupo perde il pelo, ma non il vizio e continuò nelle sue malefatte. Con un pretesto attaccò guerra ad un vicino e durante la battaglia una freccia scagliata a caso, nel mucchio, colpì proprio Acab tra le maglie dell’armatura e la corazza. Sentendosi ferito, Acab ordinò al cocchiere di tirarsi fuori dalla mischia. Il sangue colava dalla ferita e si raccoglieva sul fondo del carro da battaglia e alla sera il re morì. Lo portarono a Samaria e lo seppellirono. [38]Il carro fu lavato nella piscina di Samaria dove si lavavano le prostitute e i cani leccarono il suo sangue, secondo la parola pronunziata dal Signore. (1Re cap. 22)
Sull’Oreb il Signore aveva ordinato ad Elia di ungere re di Israele Ieu, figlio di Nimsi. Pertanto Ieu prese il potere. Se Jezabele era sanguinaria in Ieu aveva trovato pane per i suoi denti. Unto re di Israele Ieu fa strage di figli, parenti e amici del re. Per la morte di Jezabele cedo la parola al cronista biblico.
(2Re cap. 9) [30]Ieu arrivò in Izreèl. Appena lo seppe, Jezabele si truccò gli occhi con stibio, si acconciò la capigliatura e si mise alla finestra. [31]Mentre Ieu entrava per la porta, gli domando: «Tutto bene, o Zimri, assassino del suo padrone?». [32]Ieu alzò lo sguardo alla finestra e disse: «Chi è con me? Chi?». Due o tre eunuchi si affacciarono a guardarlo. [33]Egli disse: «Gettatela giù». La gettarono giù. Il suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli. Ieu passò sul suo corpo, [34]poi entrò, mangiò e bevve; alla fine ordinò: «Andate a vedere quella maledetta e seppellitela, perché era figlia di re». [35]Andati per seppellirla, non trovarono altro che il cranio, i piedi e le palme delle mani. [36]Tornati, riferirono il fatto a Ieu, che disse: «Si è avverata così la parola che il Signore aveva detta per mezzo del suo servo Elia il Tisbita: Nel campo di Izreèl i cani divoreranno la carne di Jezabele. [37]E il cadavere di Jezabele nella campagna sarà come letame, perché non si possa dire: Questa è Jezabele».
Vi ho raccontato una ben triste storia, mi rendo conto, che non ha bisogno di commento. Non c’è nessuno che sia tanto crudele da non trovare uno più crudele di lui. Jezabele era una donna crudele e spietata e pagò duramente le sue innumerevoli colpe.
Storicamente questi fatti sono avvenuti tra l’ 875 e l’ 845 a.C. La situazione socio-politica vedeva Israele esercitava l’agricoltura e la pastorizia, mentre nel Libano, e nella fattispecie Tiro, da circa 100 - 150 anni andava per mare commerciando. Israele cercava di modificare il suo modo di vivere affacciandosi ad un mondo di commercio e di affari per i quali non tutti erano ugualmente preparati. Quando avvengono dei cambiamenti troppo rapidi nei sistemi di vita c’è sempre qualcuno, o più di qualcuno, che impone la sua legge spesso prepotente e violenta specialmente a carico dei più deboli. I nostri tempi non sono molto diversi da quelli, a mio modo di vedere.
Ora, ciascuno a modo suo tragga la morale da tutta questa storia.
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